Operazione Deny Flight

Operazione Deny Flight
parte della guerra in Bosnia ed Erzegovina
Un F-15 Eagle statunitense nella Base aerea di Aviano durante l'operazione
Data12 aprile 1993 – 20 dicembre 1995
LuogoBosnia ed Erzegovina
Esitofirma dell'accordo di Dayton
Schieramenti
Comandanti
Perdite
3 aerei perduti in azione
7 aerei perduti in incidenti[1]
sconosciute con precisione
4 aerei abbattuti[1]
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Operazione Deny Flight (in lingua inglese, letteralmente, "negare il volo") era il nome in codice dell'operazione militare lanciata dall'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO) il 12 aprile 1993 in attuazione della risoluzione 816 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, la quale istituiva una zona d'interdizione al volo estesa sull'intero spazio aereo della Bosnia ed Erzegovina in quel momento sconvolta da un sanguinoso conflitto. Il mandato della missione NATO, inizialmente comprendente solo il blocco dei voli militari non autorizzati sui cieli della Bosnia ed Erzegovina, fu poi ampliato con la risoluzione 836 del 4 giugno 1993: i velivoli dell'alleanza atlantica furono autorizzati a condurre raid armati contro obiettivi al suolo onde fornire protezione alle unità della missione dei caschi blu in Bosnia (UNPROFOR), in particolare nelle sei "zone di sicurezza" istituite attorno ad altrettante città assediate dalle forze dei serbo-bosniaci (Sarajevo, Srebrenica, Žepa, Goražde, Tuzla e Bihać).

Nei mesi successivi i velivoli NATO furono varie volte chiamati a sostegno dei caschi blu alle prese con attacchi e bombardamenti delle forze serbo-bosniache, ma il sistema di approvazione dei raid aerei si dimostrò molto complesso e spesso inefficiente, gravato come era dai profondi contrasti politici tra i vari organismi coinvolti: se gli ambienti NATO ritenevano gli attacchi aerei un ottimo strumento di deterrenza nei confronti dei belligeranti, i comandi ONU nella regione erano invece molto restii a impiegarli, non volendo compromettere il ruolo di stretta neutralità dell'UNPROFOR ritenuto necessario per poter proseguire i negoziati per un cessate il fuoco tra le parti in conflitto. Inoltre, la stessa NATO si ritrovò spaccata tra la linea degli Stati Uniti d'America e quella dei principali alleati europei, Francia e Regno Unito su tutti: i primi sostenevano un atteggiamento di fermezza verso i serbo-bosniaci comprendente il pieno ricorso ai bombardamenti aerei, ma erano contrari a coinvolgere nel conflitto le loro truppe da combattimento terrestri; i secondi, tra i principali contribuenti della missione UNPROFOR, temevano invece le azioni di ritorsione ai raid aerei che i serbo-bosniaci avrebbero potuto mettere in atto contro i caschi blu sul terreno e puntavano tutto sulla strategia negoziale.

Benché relativamente efficace nell'impedire l'impiego di aerei da combattimento da parte dei belligeranti, l'operazione Deny Flight fallì sostanzialmente nel suo compito di garantire la protezione delle "zone di sicurezza" dell'ONU, cosa resa palese nel luglio 1995 con i fatti del massacro di Srebrenica; l'eco degli eventi di Srebrenica portò quindi a una completa rivisitazione delle regole di ingaggio della NATO in Bosnia ed Erzegovina, spingendo per un impiego molto più pesante dei raid aerei. Il 30 agosto 1995, dopo i fatti del secondo massacro di Markale a Sarajevo, la NATO poté quindi lanciare l'operazione Deliberate Force ai danni dei serbo-bosniaci: una massiccia campagna di bombardamenti, protrattasi fino al 14 settembre, colpì duramente l'apparato militare della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, dando un notevole contributo alla stipula di un armistizio generale il 12 ottobre e alla firma degli accordi di pace di Dayton il 14 dicembre.

L'operazione Deny Flight fu ufficialmente terminata il 20 dicembre 1995, con l'avvio dello spiegamento della Implementation Force in Bosnia ed Erzegovina.

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